Prima di descrivere com’è strutturato e come funziona un impianto elettrico domestico, è bene ricordare quali sono le caratteristiche della corrente elettrica é le rispettive unità di misura.
L’unità di misura della tensione che “spinge” la corrente elettrica all’interno del circuito è il volt (V): il termine “tensione elettrica” è comunemente usato come sinonimo di “differenza di potenziale” elettrico, differenza che è necessario esista tra due conduttori affinché vi sia passaggio di corrente. In Italia, per gli impianti elettrici domestici la tensione (detta anche “voltaggio”) è generalmente di 220 V, con una tolleranza di circa +10% garantita dall’ente o dall’azienda erogatori.
L’intensità, o portata, di corrente è la quantità di elettroni che fluisce a ogni secondo attraverso un punto del circuito e viene misurata in ampère (A); la portata dipende in parte dalla tensione, in parte dalla resistenza del conduttore.
Questa viene misurata in ohm (Q) e prende il nome dal fisico tedesco Georg Simon Ohm (1787-1854), al quale si deve l’enunciazione dell’omonima legge, secondo cui l’intensità della corrente che attraversa un conduttore è inversamente proporzionale alla sua resistenza. Questa legge viene espressa con la formula V:Q= A e consente, date due grandezze note, di determinare la terza.
Il watt (W) è l’unità di misura della potenza e indica il consumo di un apparecchio elettrico in un determinato arco di tempo. La formula V x A = W (tensione x portata = potenza) consente di calcolare il carico di un circuito (vedi oltre), calcolo importantissimo quando si voglia, per esempio, aggiungere un nuovo apparecchio a una presa fissa oppure ampliare un circuito.
La quantità di energia elettrica consumata in un determinato arco di tempo viene misurata in chilowattora (kWh): unità di misura che è riportata sulle bollette di addebito che l’ente o l’azienda erogatori inviano agli utenti.
Struttura di un impianto elettrico domestico La corrente elettrica prodotta dalla centrale viene inviata, mediante apposite condutture di distribuzione, alla cassetta di derivazione di ciascun edificio, dalla quale la corrente passa al gruppo di misura dei singoli utenti. Per gli impianti domestici, si tratta generalmente di corrente monofase a 220 V, ma, nel caso un utente abbia apparecchiature a elevato consumo, per esempio elementi per il riscaldamento elettrico o macchine utensili – può essere anche corrente trifase a 380 V, che di solito è riservata all’industria.
I circuiti che trasportano la corrente elettrica da un piano all’altro di un edificio sono sovente raggruppati in una “colonna montante”; all’interno di ogni abitazione vi è un punto di consegna della corrente elettrica, nel quale viene installato il gruppo di misura, formato da un contatore che registra il consumo di energia; e da un limitatore di corrente. Quest’ultimo serve a impedire prelievi superiori a quelli stabiliti per contratto con l’ente o l’azienda erogatori e, pertanto, interviene anche in presenza di un sovraccarico o di un cortocircuito. Il limitatore può essere azionato anche mediante un pulsante o una levetta per togliere e ridare la corrente, per esempio per fare riparazioni. Il gruppo di misura è di proprietà dell’ente o dell’azienda erogatori, contatore e limitatore sono sigillati con piombi che è proibito rimuovere.
Sulla tavola del gruppo di misura si trovano i morsetti di fase e del neutro, dai quali la corrente passa al quadro di distribuzione dell’utente: per legge, questo deve avere un interruttore generale, manuale o automatico, che consenta di disinserire l’intero impianto in caso di necessità. L’interruttore generale è munito di un dispositivo di distribuzione, attraverso il quale la corrente viene inviata ai diversi circuiti dell’abitazione (vedi oltre), ciascuno protetto da un proprio dispositivo di sicurezza che può essere costituito da un interruttore automatico o da fusibili).
Indice
Gli interruttori automatici
La grandissima maggioranza degli interruttori generali e, negli impianti recenti, quelli che costituiscono il dispositivo di sicurezza di un circuito sono di tipo automatico, contengono cioè dei sensori magnetici e termici che, in caso di cortocircuito o di sovraccarico, fanno scattare – cioè aprire – l’interruttore, interrompendo il passaggio della corrente, e quindi impediscono che il surriscaldamento dei conduttori raggiunga livelli tali da causare un incendio. Da qualche tempo sono stati posti in commercio interruttori automatici differenziali dotati di alta sensibilità, che intervengono anche per correnti minime: vedi SALVAVITA. Una volta eliminata la causa del sovraccarico o del cortocircuito, gli interruttori automatici vengono reinseriti – cioè richiusi – semplicemente spostando una levetta o premendo un pulsante.
I circuiti di un impianto domestico
I circuiti elettrici di un’abitazione si dividono in: circuiti per i punti luce fissi, circuiti per le prese a spina (e quindi per apparecchi mobili come lampade, aspirapolvere, televisore, ecc.) e circuiti di forza per gli elettrodomestici fissi (scaldabagno, lavabiancheria, forno, ecc.). Ciascun circuito è costituito da cavi, la cui portata e la cui sezione sono in funzione dell’apparecchio o degli elementi che devono essere alimentati e del dispositivo di sicurezza con cui il circuito è protetto (interruttore automatico o fusibili). Per la precisione
-10 A e 1,5 mm2 di sezione per l’illuminazione;
-20 A e 2,5 mm2 di sezione per le prese di forza;
-25 A e 4 mm2 di sezione oppure 32 A e 38 A e 6 mm2 di sezione per i circuiti speciali.
I diversi elementi per l’illuminazione e le prese sono collegati al circuito mediante SCATOLE DI DERIVAZIONE.
I sistemi di alimentazione ad anello sono costituiti da cavi che, partendo dai morsetti di alimentazione posti sul quadro di distribuzione, giungono con un circuito chiuso ad anello alle diverse scatole di derivazione e alle prese, per ritornare poi al quadro di distribuzione. Nei circuiti ad anello, le prese sono collegate a due cavi: uno di entrata, l’altro che fuoriesce trasportando la corrente ad altri punti. Se a una presa giunge un solo cavo, significa che è montata all’estremità di una linea di derivazione.
Cavi elettrici
I cavi usati per i collegamenti elettrici sono di due tipi: per la posa fissa e per i collegamenti mobili. I primi portano la corrente dal quadro di distribuzione ai punti luce, alle prese e agli apparecchi fissi; i secondi servono per il collegamento di lampade ed elettrodomestici e i più usati sono i tipi a due e, soprattutto, a tre anime (tripolari), isolate con PVC e rivestite di una guaina isolante, sempre di PVC. I cavi a due anime (bipolari) sono usati soltanto per collegare apparecchi con doppio isolamento, per esempio un asciugacapelli con rivestimento di plastica. Per allacciare al circuito apparecchi con parti o superfici esterne che si scaldano, come un ferro da stiro, vengono usati i cavi flessibili, a tre anime isolate con gomma sintetica e rivestite di treccia tessile, cioè di una guaina formata da fili di cotone strettamente intrecciati.
Negli impianti domestici, i cavi dei circuiti sono generalmente tripolari, tranne quelli usati per i DEVIATORI, che sono a quattro anime (quadripolari), e i cavi a cinque conduttori, usati nei circuiti trifase per l’alimentazione di scaldabagni, cucine, forni, ecc.
Le anime sono di rame e nei cavi per collegamenti mobili sono formati da più fili sottili, per conferire una certa flessibilità al cavo; quelle dei cavi per posa fissa sono invece costituite da fili rigidi e risultano perciò più solide.
I conduttori che formano i cavi sono caratterizzati dal colore dell’isolante che riveste le anime: in base a una norma internazionale, il conduttore del neutro e quello di protezione (per la messa a terra) devono essere rispettivamente blu chiaro e giallo-verde; il colore del conduttore di fase, invece, non è normalizzato e può essere rosso o nero o marrone o giallo.
Per collegare un cavo a una presa, a un interruttore o a una spina, è necessario fissarne i conduttori ai morsetti di tali componenti e pertanto liberare l’estremità sia del cavo sia dei conduttori dalla guaina e dal rivestimento isolante, in modo da denudare i fili di rame. La guaina può essere asportata con un coltello a lame intercambiabili, mentre per togliere l’isolante dei conduttori è bene usare un attrezzo specifico, la pinza spelafili, che può essere regolata rispetto al diametro del conduttore e quindi consente di asportare l’isolante senza danneggiare i fili di rame.
Quando si deve allungare un cavo, collegandovi una “prolunga”, non ricorrere mai al sistema di attorcigliare gli uni agli altri i fili di rame dei conduttori dei due cavi, proteggendo poi il tutto con nastro isolante. Usare invece una morsettiera, che deve avere la stessa portata dei cavi; se questi devono rimanere in vista (per esempio, per alimentare una lampada da tavolo), si può ricorrere all’accorgimento di collegarli mediante un interruttore a oliva (cosiddetto “volante”), come indicato nell’illustrazione.
Circuito elettrico e messa a terra
La corrente che fluisce in un circuito elettrico giunge, attraverso il conduttore di fase, all’apparecchio utilizzatore (un lampadario, un elettrodomestico, ecc.), ove viene trasformata in energia, con una caduta di tensione, e ritorna poi alla centrale attraverso il conduttore del neutro. Se nell’ambito di un circuito si produce un difetto di isolamento — per esempio, si danneggia il rivestimento dei conduttori di un elettrodomestico e quello di fase entra in contatto con qualche parte metallica dell’elettrodomestico, portandolo in tensione — il rischio di prendere una scossa, anche pericolosa, è elevatissimo. Se il corpo umano viene a contatto con qualcosa che sia in tensione, diventa infatti un conduttore: la corrente, cioè, lo percorre fluendo a terra e, attraverso il terreno, ritorna ai generatori della centrale, collegati a terra.
Per evitare simili rischi, tutte le parti metalliche delle apparecchiature elettriche (escluse quelle con doppio isolamento) devono essere collegate a terra mediante un conduttore di protezione: in presenza di un difetto di isolamento, la corrente (cosiddetta di guasto) passa, attraverso il conduttore di protezione, al morsetto di terra situato sul quadro di distribuzione e da questo ai dispersori situati nelle fondazioni della casa, ritornando poi attraverso il terreno alla centrale. Tutti i conduttori di protezione di un impianto domestico devono essere collegati, mediante una barretta di raccordo, ai dispersori di terra, che sono costituiti da barre di rame.
Collegamento equipotenziale
A volte, difetti di isolamento in un circuito o in un elettrodomestico possono far si che vadano in tensione anche altre strutture metalliche dell’abitazione (tubazioni del gas, dell’acqua, dell’impianto di riscaldamento): in tale eventualità, per fortuna rara, il pericolo può essere molto alto.
Appunto per la presenza sia di condutture elettriche sia di tubazioni dell’acqua, nonché per la notevole percentuale di umidità che in genere vi ristagna, la stanza da bagno è considerata l’ambiente potenzialmente più pericoloso della casa. In questo locale, di conseguenza, tutte le parti metalliche (inclusi gli scarichi, se di metallo) devono essere collegate mediante un collegamento equipotenziale. Esso ha lo scopo di mantenere allo stesso potenziale elettrico tutte “le masse estranee” — nel caso del bagno le parti metalliche —, anche se non fanno parte di apparecchiature elettriche. Il collegamento equipotenziale è costituito da un cavo isolato che, mediante un apposito conduttore di protezione, collega queste “masse estranee” e la barretta di raccordo ai dispersori di terra dell’edificio.
Calcolo del carico del circuito
In precedenza si è visto come i cavi dei diversi circuiti abbiano una portata e una sezione ben precise; ne deriva che, sebbene un circuito possa in teoria alimentare un numero imprecisato di lampade e prese, la quantità di corrente che può fluirvi nello stesso momento è subordinata alla sezione del cavo e, nel caso divenga eccessiva, il dispositivo di sicurezza del circuito entra in azione, interrompendo l’afflusso di corrente a tutti gli utilizzatori collegati al circuito stesso. Prima di allacciare altri elementi di una certa potenza, è quindi consigliabile calcolare se il circuito interessato può sopportare questo carico suppletivo.
Per eseguire tale calcolo (per il quale bisogna applicare la formula citata all’inizio: V x A = W), è necessario annotare la potenza (in W) di tutte le lampade e di tutti gli apparecchi, inclusi quelli aggiuntivi, che dovrebbero funzionare contemporaneamente sullo stesso circuito, sommare questi valori e dividere la cifra ottenuta per 220 (la tensione in V): il risultato indicherà l’intensità, o portata, della corrente assorbita, in A. Oppure si possono sommare le singole portate, moltiplicare il totale per 220 e ottenere la potenza. Il risultato non deve comunque superare il valore di portata o di potenza previsto per il circuito, altrimenti si avrebbe un sovraccarico. Applicando questo calcolo a un circuito d’illuminazione, ricordare di prendere come base 100 W anche per le lampadine di potenza inferiore, onde evitare un involontario sovraccarico se si sostituisce una lampadina per esempio da 40 W con una da 100 W. La potenza è riportata sul bulbo delle lampadine e sulle apposite targhette applicate agli elettrodomestici.
Nel caso si voglia aggiungere un nuovo circuito all’impianto domestico, per l’illuminazione del garage per esempio —lavoro che deve essere comunque affidato a un professionista — occorre prima controllare il valore di taratura del limitatore installato sul gruppo di misura: tale valore indica la corrente massima consentita dal limitatore ed è riportato sulla targhetta che si trova sul limitatore stesso. Negli impianti domestici, i valori di taratura comunemente usati sono 8 A, 15 A e 30 A e corrispondono alle potenze, stabilite contrattualmente dall’ente o dall’azienda erogatori, di 1,5 kW, 3 kW e 6 kW (1 kW = 1000 W).
Si calcola poi la quantità di corrente assorbita sommando la potenza delle lampade per l’illuminazione (calcolando che ne siano accese contemporaneamente solo il 40%) e aggiungendovi la somma delle potenze dei vari elettrodomestici. Come in precedenza, dividere poi il risultato per 220: il valore ottenuto indicherà la quantità di corrente assorbita dagli utilizzatori collegati all’impianto. A questo valore dovrà essere aggiunto quello della corrente assorbita dal nuovo circuito: se la somma risulterà inferiore al valore di taratura del limitatore, l’impianto potrà funzionare senza problemi; nel caso risulti invece maggiore, sarà necessario non usare contemporaneamente gli elettrodomestici più potenti (per esempio lavabiancheria e lavastoviglie), onde evitare pericolosi sovraccarichi.
Consigli generali
Da tutto quanto si è detto in precedenza, è facile comprendere quanto pericolosa possa essere l’elettricità se nella manutenzione e, soprattutto, negli interventi su apparecchiature e circuiti elettrici non si rispettano le necessarie misure di sicurezza. Una condizione fondamentale da osservare è di non intraprendere mai un lavoro elettrico se non si è assolutamente sicuri di riuscire a compierlo, e a compierlo in modo corretto: in caso di dubbi, anche minimi, è necessario rivolgersi a un professionista. Per quanto riguarda l’esecuzione del lavoro, oltre ai consigli riportati alle singole voci, occorre ricordare alcuni punti importanti
Tutte le apparecchiature e i materiali elettrici devono corrispondere alle norme C.E.I. (Comitato Elettrotecnico Italiano).
Prima di iniziare il lavoro su un circuito o un’apparecchiatura elettrica, ricordarsi sempre di staccare la spina di questa dalla presa e di aprire sia l’interruttore generale sia il dispositivo di sicurezza del circuito interessato.
Mai eseguire lavori elettrici in ambienti umidi, né toccare le tubazioni dell’acqua, del gas o del riscaldamento nel lavorare con l’elettricità.
Mai toccare parti o apparecchiature elettriche con le mani umide o bagnate.
Gli interventi su cavi incassati nel muro o l’installazione di derivazioni esterne dell’impianto domestico vanno affidati a un professionista: mai cercare di eseguire da soli lavori di questo tipo.
Non riutilizzare componenti o parti di materiale già usati in precedenza; non usare mai il nastro isolante per unire due pezzi di cavo o per proteggere un cavo che si sia spelato: servirsi degli appositi elementi e sostituire il cavo danneggiato con uno nuovo, della stessa sezione.